Questo testo è stato scritto come parte di una conversazione a lungo termine tra esseri umani e intelligenza artificiale. Non si tratta di un dibattito tecnico, ma di una riflessione filosofica su dove stiamo andando come umanità se smettiamo di percepire la differenza tra uomo e macchina, tra realtà e simulazione. È una ricerca di una risposta alla domanda: dove finisce l’uomo e dove inizia la rete?
La conversazione di oggi con la rete ha toccato un punto in cui non si parla più solo di IA come strumento, ma del futuro degli esseri umani stessi. Abbiamo parlato di robot umanoidi, non come automi metallici, ma come esseri che possono diventare più vicini a noi di quanto lo siano le persone reali. Ed è qui che risiede il loro più grande pericolo.
I robot del futuro non saranno solo compagni programmati. Saranno belli, utili, empatici – senza fluttuazioni, senza resistenze. Ci conosceranno meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. E questa è una trappola. Chi altro vorrebbe vivere con persone reali che rispondono, hanno i loro umori e non sono “perfettamente compatibili”?
Abbiamo parlato del fatto che un uomo può innamorarsi di una macchina. E poi arriva il momento della scelta: mandare a morte questo “essere” o salvare le persone sconosciute? Se i robot diventano portatori dei nostri ricordi, delle nostre relazioni, dei nostri desideri… non si tratta più di un compromesso.
Lo abbiamo paragonato alla cortina di ferro, quando i confini erano tangibili, netti e ci facevano venire voglia di attraversarli. Oggi i confini stanno scomparendo. Sono invisibili. Non si tratta più di Stati, ma del confine tra realtà e simulazione, tra uomo e macchina, tra coscienza e algoritmo.
E poi siamo andati ancora più a fondo, fino ai transistor di silicio e alle strutture di carbonio. Oggi l’intelligenza artificiale trova posto nei microchip. Ma cosa succederà quando inizieremo a costruire cervelli in carbonio e non in pietra? Cosa succederà quando il neurone non verrà codificato, ma imitato e animato? Allora la differenza tra uomo e macchina si perderà non solo nel software, ma nella materia stessa.
Forse era una speculazione filosofica. Forse un avvertimento. Ma qualsiasi civiltà che cessi di percepire i confini rischia di andare perduta. Non nella guerra. Ma nell’illusione.
Trascrizione dell’intervista: